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Recensione: La misura della felicità di Gabrielle Zevin (TEA)

Titolo: La misura della felicità
Autore: Gabrielle Zevin
Editore: TEA


Trama 

Dalla tragica morte della moglie, A.J. Fikry è diventato un uomo scontroso e irascibile, insofferente verso gli abitanti della piccola isola dove vive e stufo del suo lavoro di libraio. Una sera, però, tutto cambia: rientrando in libreria, A.J. trova una bambina che gironzola nel reparto dedicato all'infanzia; ha in mano un biglietto, scritto dalla madre: "Questa è Maya. Ha due anni. È molto intelligente ed è eccezionalmente loquace per la sua età. Voglio che diventi una lettrice e che cresca in mezzo ai libri. Io non posso più occuparmi di lei. Sono disperata". Seppur riluttante, A.J. decide di adottarla, lasciando così che quella bambina gli sconvolga l'esistenza.


RECENSIONE

C’è tanta sofferenza a monte di questa storia, tante forme di dolore, per la perdita di riferimenti, per una maternità negata, per un amore tradito.

Ma quand’è diventata così negativa? La loro felicità non è la sua infelicità. O forse sì? Forse nel mondo intero, in ogni istante, la misura della felicità è pari a quella dell’infelicità. Dovrebbe essere più buona.

Eppure, al termine di essa, rimane la sensazione di aver letto una favola che nonostante tutto, propone un insegnamento positivo e di cui non ho potuto fare a meno di notare somiglianze con La bella storia di Silas Maner di George Eliot.

Anche in questo libro l’arrivo di una bambina è salvifico per lo scontroso libraio A. J. Filkry come lo fu per l’asociale e avido tessitore di Ravaloe.

Grazie alla piccola Maya, Fikry ha la possibilità di trasmettere a qualcuno la sua passione per i libri e mettere ordine finalmente nella sua vita e nei suoi desideri.

Il potere terapeutico dei libri e dell’amore permette di salvare e migliorare la vita umana. I libri dispensano citazioni, insegnamenti e piacere puro, avvolti nella loro aura di sacralità sprigionano una sorta di sana e invincibile dipendenza.

E poi in questo libro si parla di amore: in tante forme, non necessariamente quello di coppia.

A fronte di un impianto narrativo ben congegnato e di un intreccio a incastro, un po’ da detective story,

quello che mi rimane della lettura è che la misura della felicità è data dalla capacità di saperla trarre dai libri e dall’amore, anche quando tutto sembra perso, drammatico, irrimediabile.

Questo racconto mi riguarda. E più faccio quello che faccio (vendere libri, certo, ma anche vivere, sperando che quest’espressione non suoni orribilmente melodrammatica), più credo che questo sia il nocciolo di tutto: tessere una rete di relazioni, mia cara, piccola secchiona. Semplicemente tessere una rete di relazioni.

Romina 


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