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Blog Tour: La Sorella minore Vol 2 (Vintage Editore)

I Watson

Il manoscritto è una prima stesura senza data, priva di titolo e con numerose cancellature e correzioni: non reca nessuna indicazione di eventuali suddivisioni (capoversi, capitoli). Il titolo The Watson è presumibilmente una invenzione del nipote J. E. Austen-Leigh, il quale pubblicò il romanzo in appendice alla seconda edizione del suo Memoir nel 1871.

L’edizione autonoma a cura di A. B. Walkley, Leonard Parsons, London, 1923, si limita a ristampare tale testo; la prima edizione ad adoperare il manoscritto della Austen è a cura di R. W. Chapman, The Watsons, a fragment by Jane Austen, now reprinted from the manuscript, Clarendon Press, Oxford, 1927 che poté consultarlo perché fino a 1978 era di proprietà degli eredi di William Austen-Leigh.

Il manoscritto è diviso in due parti: sei fogli dell’originale sono custoditi alla Pierpoint Morgan Library di New York: la parte rimanente alla Bodleian Library dell'Università di Oxford[1].

 

I Watson con l’eroina che si chiama Emma e il padre malato è stato alle volte interpretato come un prototipo del successivo Emma. Ma sarebbe più esatto dire che ha aspetti di somiglianza piuttosto evidenti con tutti i romanzi di Jane Austen al punto che se fosse semplicemente spuntato fuori dal nulla, non ci sarebbero stati dubbi sull’autore. A parte il nome, le due protagoniste vivono condizioni un po’ diverse: Emma Watson, dopo quattordici anni di assenza, fa ritorno nella sua famiglia d'origine e si ritrova a dover assistere il padre, ormai vecchio e molto malato, e farsi accettare dai fratelli, tra i quali i rapporti sono inquinati da piccole gelosie e invidie meschine.

Mr. Watson ricorda molto il rev. Austen e poiché la morte di lui, avvenuta a Bath il 21.1.1805, segna un brusco silenzio letterario o comunque un vuoto di notizie su Jane Austen in quel periodo, si è ipotizzato che fosse il doloroso ricordo provocatole dall’analoga condizione tratteggiata nel padre di Emma Watson a impedirle di portare a compimento il frammento abbozzato nel periodo intorno alla morte del proprio.

 

Jane non dovette essere sempre d’accordo con le decisioni prese dal rev. Austen, come quando decise il trasferimento a Bath per lasciare la parrocchia di Steventon a James o morendo lasciò moglie e sorelle in balia della generosità dei fratelli maschi. Verso di lui esprime sentimenti di rispettoso affetto ma non autentico slancio: lascia pensare la duplice versione della lettera con cui annuncia la morte del genitore e allo stesso tempo cerca di consolare il fratello minore Frank:

 

Dobbiamo sentire il peso della perdita di un tale Genitore, altrimenti saremmo dei Bruti[2].

Della sua tenerezza di Padre chi potrà renderne giustizia… Conserva il sorriso dolce e benevolo che l’ha sempre contraddistinto[3].

 

In seguito ne accennerà in una lettera, sempre con termini di stima e tradendo un po’ di nostalgia quando le viene richiamato alla mente l’interesse di lui per gli studi umanistici e l’ambiente universitario, caratteristiche che ritroviamo anche in Mr. Watson:

 

Mr. W. è stata un’utile aggiunta, dato che è un Giovanotto disinvolto e un piacevole conversatore – è molto giovane, forse a malapena ventenne. È del St John  di Cambridge, e ha parlato molto bene di H. Walter come studioso; – ha detto che era considerato come il miglior classicista dell’università – Quanto sarebbe stato interessato il Babbo a una descrizione del genere![4].

 

Non dobbiamo pensare però che la scrittura de I Watson sia malinconica perché comunque il guizzo allegro di Jane Austen trova comunque il modo di fiorire qua e là come margherite in un prato.

Non mancano infatti battute di spirito come quella contenuta nella conversazione con Lord Osborne a proposito dell’economia domestica:

 

L'economia femminile può fare moltissimo, milord, ma non può trasformare un'entrata piccola in una grande.  

 

Come anche quell’annotazione divertita sul percorso della vecchia cavalla evidentemente abituata a fermarsi davanti alla modista:

 

La vecchia cavalla continuava col suo trotto pesante, senza bisogno di guidarla con le redini per farla girare nei punti giusti, e fece un solo errore, fermandosi davanti alla modista, prima di accostarsi all'ingresso della casa di Mr. Edwards[5].

 

 Per non parlare del tenero episodio con il signorino Blake che sembra uscito direttamente da una delle tante serate di ballo a cui Jane Austen stessa partecipava.

Cassandra Austen raccontò ai nipoti qualcosa della progettata conclusione de I Watson: Emma avrebbe “declinato una proposta di matrimonio da parte di Lord Osborne, e gran parte dell’interesse del racconto sarebbe ruotato intorno all’amore di Lady Osborne per il signor Howard, per contro innamorato di Emma che avrebbe comunque finito per sposare”. I lettori hanno spesso ritenuto per scontato che “Lady Osborne” equivalga in questo caso a Miss Osborne, il che risponderebbe benissimo alla tipica struttura delle trame di Jane Austen, lasciando alla matura Lady Osborne forse un ruolo di ostacolo come quello di Lady Catherine de Bourgh in Orgoglio e pregiudizio. Ma è possibile che non vi sia confusione di nomi e che la bellissima Lady Osborne si sarebbe servita di tutta la dignità del rango nel tentativo di accalappiare il semi-dipendente signor Howard.

Nello stile, come nella trama e nella caratterizzazione sembra probabile che I Watson avrebbe retto il confronto con gli altri romanzi di Jane Austen, se lo avesse finito[6].

Virginia Woolf ci invita proprio a rilevare il valore de I Watson  in quanto opera incompiuta:

 

Le opere secondarie sono sempre interessanti perché mostrano il metodo con cui procede lo scrittore: l’aria scarna e dura dei primi capitoli ci dimostra che Jane Austen era uno di quegli scrittori che nella prima stesura espongono sommariamente la vicenda, ma poi ripetutamente vi ritornano finché questa acquisti rilievo e atmosfera. [… ] doveva prima creare l’atmosfera in cui avrebbe poi fruttificato il suo genio peculiare […] non c’è tragedia, non c’è eroismo, eppure chissà perché la piccola scena è molto più commovente di quanto non possa far supporre la sua superficiale solennità […] Ci incita a suggerire ciò che manca. Ciò che lei ci offre è apparentemente una trivialità, tuttavia composta di elementi che si espandono nell’immaginazione del lettore e investono di durevole vita quelle scene[7].

 

Sicuramente quelle pagine abbozzate sarebbero state ampliate e sviluppate, o per meglio dire cesellate, per diventare un altro grande romanzo dei suoi e questo ci fa dolere per l’ennesima volta della sua prematura scomparsa. Una vita più lunga e soprattutto più serena, in quelle condizioni ideali che aveva trovato in Chawton, le avrebbero permesso di rimaneggiare il lavoro interrotto e dargli una forma completa.


Romina 



[1] Consultabile al sito: Jane Austen Fiction Manuscripts.

[2] Jane Austen, Lettere, trad. Giuseppe Ierolli, edizioni ilmiolibro.it, Roma, 2011, L. 40 di lunedì 21 gennaio 1805, p. 150.

[3] Jane Austen, Lettere, cit., L. 41 di martedì 22 gennaio 1805, pp. 151-152.

[4] Jane Austen, Lettere, cit., L. 78 di domenica 24 gennaio 1813, p. 290.

[5] Jane Austen, The Watsons, trad. Giuseppe Ierolli, jausten.it

[6] John N. Davie, Introduzione a Jane Austen, Sanditon, Lady Susan, I Watson, Edizioni Theoria, Roma, 1990.

[7] Virginia Woolf, Per le strade di Londra, Il Saggiatore, Milano, 1963, pp.35 e ss

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